COMMENTO ALLA SENTENZA DELLA PRIMA SEZIONE CIVILE DELLA CORTE DI CASSAZIONE N. 18319 DEL 2012 “LA CASSAZIONE NON VUOLE ARBITRARE”

Con la sentenza n. 18319 del 2012, depositata in data 25 ottobre 2012, la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, Presidente Dott.ssa Maria Gabriella Luccioli, ha stabilito l'invalidità della clausola compromissoria nei rapporti di lavoro parasubordinati dei professionisti.
Secondo la sentenza è possibile rimettere la decisione a un collegio arbitrale solo nel caso di una previsione esplicita da parte dei contratti e degli accordi collettivi di lavoro e purché ciò avvenga, a pena di nullità, senza pregiudizio della facoltà delle parti di adire l'autorità giudiziaria.
Nello specifico dei fatti, con lodo del 7 novembre 2001, reso esecutivo, il Collegio arbitrale previsto dalla convenzione stipulata il 9 settembre 1997 tra la ASL (...) di Locri ed il dott. A. S. dichiarò ingiustificato il recesso unilaterale dell'Azienda, nonché risolta la convenzione per la fornitura, da parte del professionista, di un servizio specialistico angiologico per inadempimento della stessa che condannò al risarcimento del danno nei confronti del S. liquidandolo nella complessiva misura di £.172.985.000.
"L'impugnazione della ASL è stata respinta dalla Corte di appello di Reggio Calabria con sentenza del 3 settembre 2009, che ha osservato: a) tra le parti era intercorso un contratto di prestazione di opera professionale con i connotati della parasubordinazione, perciò devoluto alla giurisdizione ordinaria, anche perché le prestazioni dovevano essere eseguite personalmente dal professionista, e non era perciò configurabile la concessione di un pubblico servizio; b) le parti nella convenzione avevano previsto per la risoluzione di eventuali controversie un arbitrato rituale, non emergendo dagli atti alcun elemento tale da indurre il conferimento di un mandato per l'espletamento di un'attività negoziale peculiare dell'arbitrato irrituale; c) risultava palese l'inadempimento della ASL perché con delibera 20 gennaio 1998 aveva revocato l'incarico senza alcun valido motivo, essendo documentalmente smentito che avesse provveduto ad acquistare i macchinari necessari allo svolgimento diretto del servizio.
Leggendo questa sentenza alla luce dell'attuale quadro normativo sarebbe possibile individuarne un pregio e un demerito.
Il primo, è rinvenibile nel modo in cui i Giudici hanno applicato rigorosamente l'articolo 808, 2 comma c.p.c..
Nella sentenza si afferma che si trattava di una prestazione coordinata, continuativa e prevalentemente personale, riconducibile alla previsione dell'art. 409, n. 3, c.p.c.
Per questo motivo trova applicazione l'art. 808, 2 comma, nel testo vigente per effetto dell'art. 3 Legge n. 25 del 1994 in base a cui "le controversie di cui all'art. 409 possono essere decise da arbitri solo se ciò sia previsto nei contratti e accordi collettivi di lavoro purché ciò avvenga, a pena di nullità, senza pregiudizio della facoltà delle parti di adire l'autorità giudiziaria....". Per tali controversie, comprendenti sia quelle di lavoro subordinato (n. 1.), sia quelle di lavoro autonomo, che alle prime sono espressamente equiparate dalla previsione del n.3 quanto alla tutela processuale, la disposizione di cui all'art. 808, secondo comma, c.p.c. ammette la possibilità di inserire la clausola compromissoria, con determinate limitazioni, solo nei contratti e negli accordi collettivi.
Il secondo, se così si può definire, visto che la Suprema Corte non poteva non applicare la legge vigente al momento dei fatti, sarebbe quello di non tenere in debita considerazione la novità legislativa costituita dal cosiddetto Collegato Lavoro 2010, Legge 4 novembre 2010 n. 183. Va considerato, infatti, che in base all'articolo 31 della nuova disciplina legislativa il legislatore ha tentato di rivitalizzare l'istituto dell'arbitrato in materia di lavoro mediante ben quattro modalità di ricorso all'arbitrato una volta insorta la controversia:
1. arbitrato irrituale nell'ambito del tentativo di conciliazione presso la Direzione Provinciale del Lavoro, previsto dal nuovo art. 412 c.p.c.;
2. arbitrato presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative, previsto dal nuovo art. 412-ter c.p.c.;
3. arbitrato irrituale con le modalità previste dall'art. 412-quater c.p.c.;
4. arbitrato irrituale presso gli organi di certificazione di cui all'art. 76 del D.Lgs. n. 276/2003; nonché attraverso l'introduzione della tanto discussa facoltà per le parti individuali di stipulare clausole compromissorie volte a devolvere ad arbitri la risoluzione di eventuali future controversie relative al loro rapporto di lavoro.
Il nuovo art. 412-ter c.p.c. stabilisce che la conciliazione e l'arbitrato possono essere svolti anche presso le sedi e con le modalità previste dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative.
Inoltre, l'art. 412-quater c.p.c. stabilisce che, ferma restando la facoltà di ciascuna delle parti di adire l'autorità giudiziaria o di avvalersi delle altre procedure di conciliazione e arbitrato previste dalla legge, le controversie di lavoro possono essere proposte innanzi ad un «collegio di conciliazione ed arbitrato irrituale», appositamente costituito conformemente a quanto previsto dalla norma citata e con la procedura ivi contemplata.
In conclusione, la sentenza in esame in ogni caso trascura l'attualità e la potenzialità dello strumento arbitrale in materia di lavoro.
Al contrario, il ricorso all'arbitrato ha almeno due vantaggi. Primo, è veloce. Secondo, evita di gravare sulle risorse della giustizia. L'uso dell'arbitrato può porre interrogativi riguardo alla protezione garantita ai lavoratori: sarà altrettanto forte di quella offerta dal ricorso al giudice?
Un interessante articolo scientifico risponde proprio a questa domanda . L'articolo studia l'effetto dell'introduzione di un arbitrato vincolante in materia di lavoro all'interno di una grande società americana. L'azienda in questione (più di 100mila dipendenti ripartiti in oltre mille luoghi di lavoro) ha introdotto nel 2004 un sistema di ricorsi in varie fasi. Quando un dipendente ha una lagnanza, per prima cosa deve riportarla al superiore.
Se questi non riesce a risolverla, il dipendente si può rivolgere all'ufficio del personale.
Se anche questo ricorso fallisce, il dipendente si può rivolgere all'arbitro (e mai, si noti, al giudice).
L'azienda ha collezionato dati (risposte a questionari) che permettono di misurare l'effetto dell'introduzione della procedura arbitrale sull'atmosfera nel posto di lavoro: ogni anno chiede infatti a un campione di dipendenti di rispondere a domande di vario tipo. Per esempio: "Il mio superiore tratta tutti i dipendenti allo stesso modo senza riguardo a differenze di razza, sesso, o età". Domande come questa riflettono la percezione di rispetto delle norme (in questo caso norme anti discriminazione) sul posto di lavoro. Oppure "Se ho un problema, mi sento libero di chiedere aiuto al mio superiore". Domande come questa ci informano della percezione di giustizia interattiva, o informale, sul posto di lavoro. Oppure ancora "Ritengo che questa compagnia sia dedita a risolvere velocemente e imparzialmente problemi o preoccupazioni dei lavoratori".
Domande come questa riflettono la percezione di giustizia procedurale formale sul lavoro.
Lo studio analizza come le risposte a queste domande cambino dopo l'introduzione dell'arbitrato vincolante. Si stima che la percezione di giustizia procedurale formale diminuisce. Ciò suggerisce che i lavoratori percepiscano una minore dedizione dell'azienda, intesa come entità centrale, alla risoluzione soddisfacente delle dispute. Allo stesso tempo, però, cresce la percezione di rispetto delle norme e anche la percezione di giustizia interattiva/informale.
Ciò suggerisce che i lavoratori percepiscano un miglioramento del clima sul posto di lavoro, a livello di singolo luogo di impiego, e una maggiore fiducia nei confronti dei superiori, dopo aver introdotto l'arbitrato vincolante.

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