Settembre 2019
 
Rubrica "Diritto&Lavoro"

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IMPUGNABILITA' DEL VERBALE DI CONCILIAZIONE PER VIZIO DEL CONSENSO

una nuova luce sull'arbitrato lavoro

I rapporti di lavoro, anche nel mondo vitivinicolo, possono attraversare c.d. momenti patologici che possono essere superati dalle parti attraverso la stipula di accordi.
Affinché tali accordi possano essere definitivi e non siano più oggetto di ripensamento da parte sia del lavoratore che dell’azienda, gli stessi devono essere sottoscritti in una delle c.d. sedi protette che la legge fissa all’articolo 2113 c.c. ossia dinnanzi: al Giudice del Lavoro, alle apposite Commissioni di Conciliazione istituite presso l’ITL (Ispettorato Territoriale del Lavoro già DTL), in sede sindacale oppure ad un Collegio di conciliazione ed arbitrato irrituale.

Un accordo reso solo fra gli interessati, invece, potrà essere impugnato entro 6 mesi dalla sottoscrizione (se almeno è stato fatto per iscritto) e risulterà mancante, quindi, di quel carattere di definitività che garantisce la certezza dei rapporti tra le parti.
In ogni caso, affinché tale effetto di definitività possa prodursi dovranno essere rispettati i requisiti di validità ed i presupposti previsti dalla legge.

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I REQUISITI DI VALIDITA

Il Tribunale di Napoli Sez. Lavoro, con la sentenza n. 3729/2019, si è pronunciato proprio in merito alla validità di un accordo sottoscritto dinnanzi ad una Commissione Provinciale della Direzione Territoriale (oggi ITL), dichiarandolo nullo per vizio del consenso.

Per “vizio del consenso” si indica un consenso dato per errore, perché estorto con violenza o con dolo in quanto non si è messi nella condizione di comprendere i contenuti dell’accordo stesso. Cosa che, come nel caso in questione, può essere riconducibile al mancato supporto di un rappresentante che aiuti il dipendente nella comprensione dell’accordo proposto dal datore di lavoro e/o dai suoi rappresentanti.

Nel caso in esame, un gruppo di lavoratrici, a fronte di una successione di imprese, in house providing, in un appalto di servizi, dopo aver risolto il rapporto con l’originario datore di lavoro e prima di essere assunte dall’impresa subentrante, hanno sottoscritto, presso la Direzione Territoriale del Lavoro competente, un verbale di conciliazione rinunciando al disposto dell’art. 2112 c.c. (Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda), nonché ad avanzare qualsivoglia potenziale rivendicazione nei confronti del datore di lavoro uscente.

Successivamente all’assunzione presso la nuova affidataria del servizio, le lavoratrici hanno impugnato il verbale di conciliazione eccependone la nullità/annullabilità per carenza dell’effettiva presenza e assistenza da parte di un rappresentante sindacale di propria fiducia, per indisponibilità dei diritti oggetto di rinuncia, per la mancanza di reciprocità delle concessioni, per motivo illecito, per frode alla legge, per  abuso dello stato di bisogno e per difetto del consenso dovuto a violenza morale, rivendicando l’applicazione del citato art. 2112 c.c., oltre che pregresse differenze retributive in loro favore.

Il Tribunale di Napoli, ha dichiarato nullo il verbale di conciliazione per vizio del consenso, rigettando le altre eccezioni in merito ed accogliendo parzialmente le domande in tema di differenze retributive.

 

LE MOTIVAZIONI NELLO SPECIFICO

La motivazioni che hanno spinto il Tribunale alla dichiarazione di nullità dei verbali di conciliazione impugnati appaiono di particolare interesse.
In particolare, il Giudice, pur avendo preso atto del disposto dell’art. 2113 c.c. in tema di rinunce e transazioni in ambito lavoristico, afferma che un verbale di conciliazione, benché sottoscritto dinnanzi alla DTL pertanto con un procedimento c.d. pubblicistico, debba essere valutato al pari di qualsiasi altro atto negoziale, dovendo riportare i medesimi requisiti di validità del contratto, in assenza dei quali non potrà che essere dichiarato nullo.

Nella fattispecie, il consenso prestato dalle lavoratrici sarebbe stato indotto dalla minaccia di un male ingiusto e futuro (di cui era stata fornita prova documentale in giudizio), ossia dalla prospettazione della mancata prosecuzione del rapporto di lavoro nel caso in cui, le lavoratrici medesime, non avessero accettato di essere assunte ex novo, con rinuncia alle garanzie del già citato art. 2112 c.c.

La sentenza del Tribunale di Napoli, unitamente a quella del Tribunale di Roma n. 4354 dell’8 maggio 2019, (relativa all’impugnazione di un verbale sottoscritto in sede sindacale), parrebbe dimostrare che il controllo c.d. pubblicistico del procedimento (attraverso il deposito in DTL) possa non essere, di per sé, sufficiente a scongiurare la violazione della normativa e, pertanto, una futura impugnazione dell’accordo da parte del dipendente.

 

UNA NUOVA LUCE SULL'ARBTIRATO LAVORO

A questo punto quanto fin qui esposto, contribuisce a gettare una nuova luce sull’arbitrato c.d. lavoro, dimostrando, indirettamente, come il rispetto delle norme in tema di rinunzie e transazioni possa anche essere garantito da uno strumento più strettamente privatistico, come l’arbitrato irrituale ex art. 412 quater c.p.c. che introduce una ulteriore e diversa possibilità di conciliazione, rispetto ad altri strumenti di cui al Libro II titolo IV del codice civile (come ad esempio la conciliazione in sede sindacale di cui alle sentenze prese in esame in questo articolo).

Ricordiamo che l’arbitrato è un metodo di risoluzione delle controversie alternativo al più classico e lungo iter giudiziario e, seppur rientrate tra gli strumenti di stampo privatistico, è comunque soggetto a delle discipline regolate dalla legge che ne garantiscono la certezza del risultato.

L’arbitrato prevede, infatti, la costituzione di un Collegio di conciliazione composto da due arbitri nominati da ciascuna delle parti ed un terzo membro, in funzione di Presidente, scelto dagli arbitri di parte tra Professori universitari di materie giuridiche ed Avvocati ammessi al patrocinio davanti alla Corte di Cassazione.
Ciò costituisce di per sé garanzia di professionalità, sicuramente del Presidente, oltre che degli arbitrati che saranno scelti anche in funzione della propria competenza.

L’arbitrato, inoltre, assicura tempi più ristretti di un normale iter giudiziario e consente la scelta della sede di svolgimento degli incontri in accordo tra le parti.

Se la conciliazione riesce, viene redatto processo verbale di conciliazione, sottoscritto dalle parti, dai rispettivi arbitri e dal Presidente e verrà poi depositato presso la cancelleria del Tribunale competente e su istanza della parte interessata potrà essere reso esecutivo.

Se la conciliazione non riesce, il Collegio di conciliazione, a seguito dell’istruttoria, emetterà il lodo, soggetto alla disciplina di cui all’art. 412 c.p.c. quindi valevole come una sentenza giudiziaria.

 

L'ARBITRATO

Da questa breve descrizione emerge come l’arbitrato, al pari degli altri metodi di conciliazione (dinnanzi al Giudice del Lavoro, alle apposite Commissioni di Conciliazione istituite presso l’ITL, in sede sindacale), anche se attraverso prerogative differenti, è idoneo a garantire al lavoratore, inteso quale parte debole del rapporto, la corretta esplicazione dei suoi diritti.

Tale strumento, quindi, per le sue peculiarità e specificità, quali, in particolare, la speditezza, la specializzazione del Collegio e la riservatezza, certamente si presta ad essere utilizzato, con successo, anche in un settore come quello enologico e ad essere applicato sia nelle piccole aziende vitivinicole che in quelle più strutturate e managerialmente gestite che, molto spesso, si trovano a ricorrere a strumenti di conciliazione per far fronte a periodi di difficoltà produttiva con conseguenza sul personale dipendente.

01.09.2019 - @RIPRODUZIONE RISERVATA - IMPUGNABILITA' DEL VERBALE DI CONCILIAZIONE PER VIZIO DEL CONSENSO. UNA NUOVA LUCE SULL'ARBTIRATO LAVORO - autore Avv. Mario Fusani - GF Legal - articolo pubblicato su L'Enologo