IL CONTRATTO A TERMINE DOPO IL D.L. 34 del 2014
L’istituto del contratto a termine è stato modificato dal recente intervento legislativo e oggi risulta caratterizzato da nuove quattro condizioni per addivenire alla sua stipula:
1) la clausola appositiva del termine va inserita nell’atto scritto, che deve richiamare espressamente i diritti di precedenza. Si tenga comunque presente che il sistema delle causali non scompare del tutto in quanto l’art. 10, 7°comma, del d. lgs. n. 368/2001 continua a prevedere l’esclusione dai limiti numerici dei contratti stipulati per alcune di esse, prima fra tutte la ragione sostitutiva e quella riferita alla stagionalità.
In proposito si può osservare che a volte il datore di lavoro ha dell’interesse ad indicare una causale sostitutiva nell’atto scritto, perché ciò gli consente alcuni vantaggi:
a) il mancato computo di questi contratti;
b) l’esclusione dal computo dell’incremento contributivo dell’1.4%;
c) conseguire lo sgravio del 50% per le assunzioni in sostituzione di lavoratrici in maternità, se si tratta di aziende con meno di 20 dipendenti.
2) la durata del contratto non può superare i 36 mesi;
3) il numero complessivo dei contratti a termine stipulati da ciascun datore di lavoro non può superare il limite del 20% del numero dei lavoratori a tempo indeterminato in forza al 1 gennaio dell’anno di assunzione ed in caso di sforamento si applicano le sanzioni amministrative sopra citate introdotte dal comma 4 septies dell’art. 5 del d.lgs. n. 368/2001;
4) rimangono fermi i divieti di cui all’art. 3.
Le proroghe dello stesso contratto, quando il contratto iniziale sia inferiore a tre anni, sono ammesse nel numero massimo di cinque all’interno del periodo di 36 mesi a condizione che si riferiscano alla stessa attività lavorativa per la quale il contratto è stato stipulato a tempo determinato (art.4). Con il che si può propendere nel senso che il lavoratore potrebbe invece stipulare un altro contratto a termine purché lo stesso abbia per oggetto mansioni diverse dal precedente.
Il nuovo assetto legislativo con i limiti temporali e quantitativi indicati continua comunque a segnalare lo sfavore verso il contratto a termine. La nuova disciplina sui contratti a termine deve essere analizzata anche rispetto al sistema legislativo dell’Unione Europea.
In particolare devono essere segnalate le denuncie presentate alla Commissione Europea dall’Associazione Nazionale dei Giuristi democratici e dalla CGIL sulla violazione della direttiva 1999/70. In particolare, viene evidenziata la lesione del principio portante della direttiva (ribadito in
numerose sentenze della Corte di giustizia) secondo cui “i contratti di lavoro a tempo indeterminato rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro e contribuiscono alla qualità della vita dei lavoratori interessati e a migliorare il rendimento”.
numerose sentenze della Corte di giustizia) secondo cui “i contratti di lavoro a tempo indeterminato rappresentano la forma comune dei rapporti di lavoro e contribuiscono alla qualità della vita dei lavoratori interessati e a migliorare il rendimento”.
Inoltre, l’eliminazione della causale sarebbe in contrasto:
a) con quanto stabilito dalla sentenza Adelener, secondo cui “la nozione di ragioni oggettive esige che il ricorso a questo tipo particolare di rapporti sia giustificato dall’esistenza di elementi concreti relativi in particolare all’attività di cui trattasi e alle condizioni del suo esercizio”
b) con quanto stabilito dalla sentenza Angelidaki, secondo cui l’esistenza anche di due delle misure previste dalla clausola 5 dell’Accordo quadro (a: Ragioni obiettive per la giustificazione del rinnovo dei suddetti contratti o rapporti;
b: La durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; c: Il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti”) non è sufficiente a giustificare rapporti a termine.
b: La durata massima totale dei contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato successivi; c: Il numero dei rinnovi dei suddetti contratti o rapporti”) non è sufficiente a giustificare rapporti a termine.
Va infatti ricordato che la disposizione menzionata dell’Accordo quadro impone agli Stati membri: “l’adozione effettiva e vincolante di almeno una delle misure in essa enunciate qualora il diritto nazionale non preveda norme equivalenti”.
In merito a questo contesto, va anche ricordato che nonostante la furbizia del legislatore, laddove consente un unico contratto acausale con 5 possibili proroghe di durata non superiore a 36 mesi nel quale le proroghe della scadenza dell’unico contratto sono tecnicamente diverse dalla stipula di nuovi contratti dopo che i precedenti sono scaduti, cosa che consentirebbe di ritenere le nuove norme estranee ai limiti posti dalla suddetta clausola, in quanto espressamente riferiti solo ai rinnovi, va tuttavia considerato come nei ricorsi alla Commissione già citati, viene affermato che lo Stato italiano ha violato la clausola 8, comma 3, dell’Accordo quadro europeo secondo cui: “l’applicazione del presente accordo non costituisce motivo valido per ridurre il livello generale di tutela offerto ai lavoratori nell’ambito coperto dall’accordo stesso” visto che la legge n. 78 del 2014 abbasserebbe il livello generale di tutela offerto ai lavoratori, senza prevedere adeguate misure compensative.
Ciò contrasterebbe con il principio comunitario delle clausole di non regresso le quali prevedono che l’attuazione di una direttiva comunitaria non possa in alcun modo costringere uno Stato membro all’attuazione, qualora lo stesso possegga già una disciplina che garantisce un uguale o maggiore livello di protezione.
E’ proprio l’assenza di una disciplina di questo tipo che secondo quanto indicato nei ricorsi, determinerebbe la violazione della clausola di non regresso in quanto lo Stato italiano con la nuova disciplina legislativa (legge n. 78 del 2014) avrebbe violato la clausola 8, comma 3 “abbassando il livello generale di tutela offerto ai lavoratori”, senza prevedere adeguate misure compensative.
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