LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO OGGETTIVO: GLI ULTIMI ORIENTAMENTI DELLA CASSAZIONE
(Breve commento a Cassazione n. 25201 del 7 dicembre 2016)
L’imprenditore può licenziare un dipendente per giustificato motivo oggettivo solo se si trova in una situazione economica sfavorevole o anche per poter snellire ed efficientare l’organizzazione aziendale?
La Cassazione è tornata, di recente sul punto, aderendo al filone “liberale” che valorizza, soprattutto, l’autonomia e la libertà di iniziativa economica dell’imprenditore.
La Cassazione è tornata, di recente sul punto, aderendo al filone “liberale” che valorizza, soprattutto, l’autonomia e la libertà di iniziativa economica dell’imprenditore.
Il Caso di specie
Tizio viene licenziato per giustificato motivo oggettivo e impugna il licenziamento ritendendo non sussistenti le ragioni tecnico-produttive ed organizzative addotte dall’impresa.
Tribunale di Firenze: riconosce legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato a tizio ed “effettivamente motivato dall’esigenza tecnica di rendere più snella la c.d. catena di comando e, quindi, la gestione aziendale”.
Tizio viene licenziato per giustificato motivo oggettivo e impugna il licenziamento ritendendo non sussistenti le ragioni tecnico-produttive ed organizzative addotte dall’impresa.
Tribunale di Firenze: riconosce legittimo il licenziamento per giustificato motivo oggettivo intimato a tizio ed “effettivamente motivato dall’esigenza tecnica di rendere più snella la c.d. catena di comando e, quindi, la gestione aziendale”.
Corte di appello di Firenze: non condivide il ragionamento del Tribunale ritenendo che il datore di lavoro debba provare l’esigenza di far fronte a sfavorevoli e non meramente contingenti situazioni influenti in modo decisivo sulla normale attività, ovvero per sostenere notevoli spese di carattere straordinario. Se tale prova non è fornita, secondo la corte territoriale, ogni riassetto risulta motivato soltanto dalla riduzione dei costi e, quindi, dal mero incremento del profitto.
Cassazione:
La Cassazione ripercorre i due orientamenti della Corte sul licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
1) 1° Orientamento: il licenziamento per giustificato motivo oggettivo comprende l’ipotesi del riassetto organizzativo dell’azienda attuato non semplicemente per un incremento di profitto, bensì per far fronte a sfavorevoli situazioni non meramente contingenti influenti in modo decisivo sulla normale attività, ovvero per sostenere notevoli spese di carattere straordinario. Secondo questo filone, in sintesi, la stabilità del rapporto di lavoro è un valore superabile solo quando il recesso è reso necessario da una effettiva situazione di difficoltà economica e non per porre in essere un riassetto che renda l’azienda più florida o efficiente. Il presupposto fattuale della situazione sfavorevole assurge, secondo tale filone di pensiero, a requisito di legittimità intrinseco al licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
La Cassazione ripercorre i due orientamenti della Corte sul licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
1) 1° Orientamento: il licenziamento per giustificato motivo oggettivo comprende l’ipotesi del riassetto organizzativo dell’azienda attuato non semplicemente per un incremento di profitto, bensì per far fronte a sfavorevoli situazioni non meramente contingenti influenti in modo decisivo sulla normale attività, ovvero per sostenere notevoli spese di carattere straordinario. Secondo questo filone, in sintesi, la stabilità del rapporto di lavoro è un valore superabile solo quando il recesso è reso necessario da una effettiva situazione di difficoltà economica e non per porre in essere un riassetto che renda l’azienda più florida o efficiente. Il presupposto fattuale della situazione sfavorevole assurge, secondo tale filone di pensiero, a requisito di legittimità intrinseco al licenziamento per giustificato motivo oggettivo.
2) 2° Orientamento: le ragioni inerenti l’attività produttiva, poste alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, possono derivare anche da riorganizzazioni o ristrutturazioni, quali ne siano le finalità, comprese quelle dirette alla riduzione dei costi o all’incremento dei profitti. In caso contrario, osservano le pronunce ascrivibili a questo filone, si minerebbe l’art. 41, Costituzione stabilendo una sorta di immodificabilità dell’organizzazione aziendale salva l’ipotesi di situazioni economiche sfavorevoli.
Pur nella differente impostazione di fondo, i due filoni anzidetti sono accomunati da alcuni elementi comuni:
– Il licenziamento non deve essere pretestuoso;
– Deve esserci un nesso causale tra la ragione addotta e la soppressione del posto del lavoratore licenziato;
– Il giudice deve verificare l’effettività del ridimensionamento.
Ripercorso il cammino della giurisprudenza sul punto, la Cassazione ritiene di aderire al secondo filone, affermando che è sufficiente che il licenziamento sia determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa, tra le quali non possono essere aprioristicamente e pregiudizialmente escluse quelle che attengono ad una migliore efficienza gestionale e produttiva ovvero anche quelle dirette ad un aumento della redditività d’impresa. Non è, dunque, necessario che sussista una situazione economica sfavorevole potendo l’imprenditore, essendo lui che assume la responsabilità in termini di rischio e di conseguenze patrimoniali pregiudizievoli, salvaguardare la competitività della propria impresa, mettendo in campo le modalità da egli ritenute più idonee. Il profitto è lo scopo lecito che l’imprenditore persegue e al fine del quale è libero di decidere la dimensione occupazionale dell’azienda.
In chiusura, la Cassazione formula il seguente principio di diritto: “Ai fini della legittimità del licenziamento individuale intimato per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della l. n. 604 del 1966, l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare ed il giudice accertare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva ed all’organizzazione del lavoro, tra le quali non è possibile escludere quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività d’impresa, determino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di una individuata posizione lavorativa; ove però il licenziamento sia stato motivato l’esigenza di far fronte a situazioni economiche sfavorevoli ovvero a spese notevoli di carattere straordinario ed in giudizio si accerti che la ragione indicata non sussiste, il recesso può risultare ingiustificato per una valutazione in concreto sulla mancanza di veridicità e sulla pretestuosità della causale addotta dall’imprenditore”.
© riproduzione riservata dello Studio GF LEGAL STP
Pur nella differente impostazione di fondo, i due filoni anzidetti sono accomunati da alcuni elementi comuni:
– Il licenziamento non deve essere pretestuoso;
– Deve esserci un nesso causale tra la ragione addotta e la soppressione del posto del lavoratore licenziato;
– Il giudice deve verificare l’effettività del ridimensionamento.
Ripercorso il cammino della giurisprudenza sul punto, la Cassazione ritiene di aderire al secondo filone, affermando che è sufficiente che il licenziamento sia determinato da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa, tra le quali non possono essere aprioristicamente e pregiudizialmente escluse quelle che attengono ad una migliore efficienza gestionale e produttiva ovvero anche quelle dirette ad un aumento della redditività d’impresa. Non è, dunque, necessario che sussista una situazione economica sfavorevole potendo l’imprenditore, essendo lui che assume la responsabilità in termini di rischio e di conseguenze patrimoniali pregiudizievoli, salvaguardare la competitività della propria impresa, mettendo in campo le modalità da egli ritenute più idonee. Il profitto è lo scopo lecito che l’imprenditore persegue e al fine del quale è libero di decidere la dimensione occupazionale dell’azienda.
In chiusura, la Cassazione formula il seguente principio di diritto: “Ai fini della legittimità del licenziamento individuale intimato per giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’art. 3 della l. n. 604 del 1966, l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare ed il giudice accertare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva ed all’organizzazione del lavoro, tra le quali non è possibile escludere quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività d’impresa, determino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di una individuata posizione lavorativa; ove però il licenziamento sia stato motivato l’esigenza di far fronte a situazioni economiche sfavorevoli ovvero a spese notevoli di carattere straordinario ed in giudizio si accerti che la ragione indicata non sussiste, il recesso può risultare ingiustificato per una valutazione in concreto sulla mancanza di veridicità e sulla pretestuosità della causale addotta dall’imprenditore”.
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