PER LICENZIARE LE ASSENZE DEVONO ESSERE DI QUALITA’
E’ di non poco interesse, la sentenza del Tribunale di Brindisi, Sezione Lavoro del 26 ottobre 2016 relativa ad un caso di contestazione fatta da un lavoratore alle ragioni poste a fondamento del suo licenziamento.
Nello specifico il lavoratore, ha lamentato la discriminatorietà del licenziamento, avendo la società indicato tra le assenze anche quelle determinate dall’esercizio dell’attività sindacale.
Il ricorrente, ha poi chiesto anche la reintegra nel posto di lavoro precedentemente occupato, oltre al pagamento dell’indennità risarcitoria dalla data di licenziamento sino all’effettiva reintegra ed al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.
In subordine il ricorrente ha chiesto la condanna delle società al pagamento di un’indennità risarcitoria compresa tra un minimo di 12 ed un massimo di 24 mensilità; in via ulteriormente gradata, la condanna al pagamento di un’indennità risarcitoria compresa tra 6 e 12 mensilità per violazione dell’art. 7 1. 604/66 e/o violazione dell’art. 2 comma 2 1. 604/66.
Dall’altra parte, l’azienda ha insistito rilevando che la percentuale di prestazione resa era pari al 19,79% con assenze non continuative e comunicate poco prima dell’inizio del turno, tali inoltre da creare notevoli problemi organizzativi e da rendere non proficua la prestazione del ricorrente quando era presente.
La società ha quindi fatto rientrare il licenziamento irrogato al ricorrente in un caso di giustificato motivo oggettivo, deducendo che il consistente numero di assenze rilevato nell’arco di tempo considerato abbia reso difficoltosa l’organizzazione del lavoro.
Non solo, la società si è anche spinta ad affermare, a giustificazione della sua decisione che alla base del licenziamento vi sarebbe anche la circostanza che la prestazione del ricorrente, nei giorni di presenza, non era più utile.
In altre parole, a determinare il recesso, sarebbe stata la condotta continuativa tenuta dal ricorrente, valutata poi unitariamente anche al fine di comprendere la sua utilità nell’ottica del sinallagma contrattuale.
E Infatti nella lettera di licenziamento la società specificava che “l’entità numerica e la durata pluriennale delle assenze complessivamente considerate sono per la scrivente società di per sé sole ostative ad una proficua ed utile prosecuzione del rapporto di lavoro”.
Nell’analisi di questa pronuncia, appare essere proprio questo l’elemento chiave valutato dal Giudice.
Infatti, secondo l’Autorità Giudicante, occorre evidenziare che la non proficuità della prestazione causata dalle assenze per malattia che non abbiano determinato – come è pacifico nel caso in esame – il superamento del periodo di comporto, può condurre al licenziamento del dipendente qualora venga dimostrata l’inutilità della prestazione nei giorni di presenza.
Nel caso specifico, la società secondo la sentenza non avrebbe fornito adeguata prova in ordine all’inutilizzabilità della prestazione del ricorrente: prova che si sarebbe dovuta concretizzare nel dimostrare che, nei giorni di presenza sul posto di lavoro, la prestazione del dipendente era sostanzialmente inutile, in considerazione sia delle caratteristiche delle mansioni affidategli sia della tipologia di attività svolta dal datore di lavoro.
In altre parole e per meglio spiegare questo aspetto è utile ricordare come nella fase istruttoria fosse emersa una circostanza molto importante per capire se le assenze del ricorrente avessero o meno un rilevante impatto sull’attività lavorativa.
Da quanto appurato attraverso l’escussione dei testi, questa rilevanza non c’era, in quanto, per esempio rispetto all’attività del cambio volantino che in corrispondenza dell’inizio delle promozioni veniva anticipata, quest’ultima attività per tutte le modalità operative con cui veniva organizzata, ben avrebbe potuto essere svolta dal ricorrente nonostante le assenze dei giorni precedenti, o come dichiarato da uno degli altri testi escussi la stessa attività avrebbe potuto essere svolta da altri dipendenti a prescindere dall’orario di lavoro, stante la fungibilità degli stessi dipendenti.
Quanto emerso nella fase istruttoria, quindi, ovvero la mancanza di elementi idonei a provare che le assenze del ricorrente abbiano inciso in maniera tanto rilevante sulla esigibilità della prestazione da renderla sostanzialmente inutile (non potendo gli stessi essere desunti neppure dal cosiddetto simulatore, non avendo tale strumento ad oggetto la prestazione del singolo dipendente e tenuto anche conto della natura essenzialmente operativa/esecutiva delle mansioni affidate al ricorrente) va quindi considerato come uno degli elementi fondamentali per le conclusioni raggiunte nella sentenza.
Non sono infine nemmeno stati ravvisati elementi per ritenere che le assenze del ricorrente abbiano determinato effettivi disagi organizzativi nella compagine aziendale considerata tra l’altro la non contestazione della tempestività della quota di assenze riferita ai permessi ex Legge 104/92.
Tali circostanze, hanno fatto sì che il fatto, per come contestato sia stato considerato insussistente con operatività della tutela prevista dal quarto comma dell’art. 18 S.L.
Ciò ha significato di conseguenza anche la dichiarazione di illegittimità del licenziamento, con ordine di reintegra e di pagamento di una indennità risarcitoria, mentre per la peculiarità della vicenda è stata da ultimo decisa la compensazione integrale delle spese di giudizio.
Nello specifico il lavoratore, ha lamentato la discriminatorietà del licenziamento, avendo la società indicato tra le assenze anche quelle determinate dall’esercizio dell’attività sindacale.
Il ricorrente, ha poi chiesto anche la reintegra nel posto di lavoro precedentemente occupato, oltre al pagamento dell’indennità risarcitoria dalla data di licenziamento sino all’effettiva reintegra ed al versamento dei contributi previdenziali ed assistenziali.
In subordine il ricorrente ha chiesto la condanna delle società al pagamento di un’indennità risarcitoria compresa tra un minimo di 12 ed un massimo di 24 mensilità; in via ulteriormente gradata, la condanna al pagamento di un’indennità risarcitoria compresa tra 6 e 12 mensilità per violazione dell’art. 7 1. 604/66 e/o violazione dell’art. 2 comma 2 1. 604/66.
Dall’altra parte, l’azienda ha insistito rilevando che la percentuale di prestazione resa era pari al 19,79% con assenze non continuative e comunicate poco prima dell’inizio del turno, tali inoltre da creare notevoli problemi organizzativi e da rendere non proficua la prestazione del ricorrente quando era presente.
La società ha quindi fatto rientrare il licenziamento irrogato al ricorrente in un caso di giustificato motivo oggettivo, deducendo che il consistente numero di assenze rilevato nell’arco di tempo considerato abbia reso difficoltosa l’organizzazione del lavoro.
Non solo, la società si è anche spinta ad affermare, a giustificazione della sua decisione che alla base del licenziamento vi sarebbe anche la circostanza che la prestazione del ricorrente, nei giorni di presenza, non era più utile.
In altre parole, a determinare il recesso, sarebbe stata la condotta continuativa tenuta dal ricorrente, valutata poi unitariamente anche al fine di comprendere la sua utilità nell’ottica del sinallagma contrattuale.
E Infatti nella lettera di licenziamento la società specificava che “l’entità numerica e la durata pluriennale delle assenze complessivamente considerate sono per la scrivente società di per sé sole ostative ad una proficua ed utile prosecuzione del rapporto di lavoro”.
Nell’analisi di questa pronuncia, appare essere proprio questo l’elemento chiave valutato dal Giudice.
Infatti, secondo l’Autorità Giudicante, occorre evidenziare che la non proficuità della prestazione causata dalle assenze per malattia che non abbiano determinato – come è pacifico nel caso in esame – il superamento del periodo di comporto, può condurre al licenziamento del dipendente qualora venga dimostrata l’inutilità della prestazione nei giorni di presenza.
Nel caso specifico, la società secondo la sentenza non avrebbe fornito adeguata prova in ordine all’inutilizzabilità della prestazione del ricorrente: prova che si sarebbe dovuta concretizzare nel dimostrare che, nei giorni di presenza sul posto di lavoro, la prestazione del dipendente era sostanzialmente inutile, in considerazione sia delle caratteristiche delle mansioni affidategli sia della tipologia di attività svolta dal datore di lavoro.
In altre parole e per meglio spiegare questo aspetto è utile ricordare come nella fase istruttoria fosse emersa una circostanza molto importante per capire se le assenze del ricorrente avessero o meno un rilevante impatto sull’attività lavorativa.
Da quanto appurato attraverso l’escussione dei testi, questa rilevanza non c’era, in quanto, per esempio rispetto all’attività del cambio volantino che in corrispondenza dell’inizio delle promozioni veniva anticipata, quest’ultima attività per tutte le modalità operative con cui veniva organizzata, ben avrebbe potuto essere svolta dal ricorrente nonostante le assenze dei giorni precedenti, o come dichiarato da uno degli altri testi escussi la stessa attività avrebbe potuto essere svolta da altri dipendenti a prescindere dall’orario di lavoro, stante la fungibilità degli stessi dipendenti.
Quanto emerso nella fase istruttoria, quindi, ovvero la mancanza di elementi idonei a provare che le assenze del ricorrente abbiano inciso in maniera tanto rilevante sulla esigibilità della prestazione da renderla sostanzialmente inutile (non potendo gli stessi essere desunti neppure dal cosiddetto simulatore, non avendo tale strumento ad oggetto la prestazione del singolo dipendente e tenuto anche conto della natura essenzialmente operativa/esecutiva delle mansioni affidate al ricorrente) va quindi considerato come uno degli elementi fondamentali per le conclusioni raggiunte nella sentenza.
Non sono infine nemmeno stati ravvisati elementi per ritenere che le assenze del ricorrente abbiano determinato effettivi disagi organizzativi nella compagine aziendale considerata tra l’altro la non contestazione della tempestività della quota di assenze riferita ai permessi ex Legge 104/92.
Tali circostanze, hanno fatto sì che il fatto, per come contestato sia stato considerato insussistente con operatività della tutela prevista dal quarto comma dell’art. 18 S.L.
Ciò ha significato di conseguenza anche la dichiarazione di illegittimità del licenziamento, con ordine di reintegra e di pagamento di una indennità risarcitoria, mentre per la peculiarità della vicenda è stata da ultimo decisa la compensazione integrale delle spese di giudizio.
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