Decreto Lavoro e contratti a termine

IL DECRETO LAVORO E I CONTRATTI A TERMINE: OPPORTUNITÀ E INCERTEZZE DOPO L’INTERVENTO DEL GOVERNO SUI CONTRATTI A TEMPO DETERMINATO

Il 03 luglio 2023 è stata pubblicata in G.U. la Legge di conversione del c.d. Decreto Lavoro, che ha trasformato la disciplina dei contratti a termine modificando le c.d. “causali”, cioè quelle circostanze in presenza delle quali è possibile stipulare, prorogare o rinnovare (a seguito delle modifiche operate in sede di conversione) un contratto a tempo determinato per un periodo di tempo superiore ai 12 mesi fino ad un massimo di 24 mesi.

Oggi è possibile superare tale termine:
a) nei casi previsti dai contratti collettivi aziendali di cui all’art. 51 del D.Lgs 81/2015;
b) in assenza di contratti collettivi aziendali, nei casi previsti dai contratti collettivi applicati in azienda e fino al 30 aprile 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva, individuate dalle parti;
c) per la sostituzione di altri lavoratori.

Prendiamo in analisi la normativa

 

L’intervento del Decreto lavoro sui contratti a termine

Tali nuove regole si applicano anche ai contratti di somministrazione a tempo determinato. In tal caso, tuttavia, seppure la causale interviene nel contratto tra agenzia ed utilizzatore, la contrattazione aziendale (così come le esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva) di riferimento è quella dell’azienda utilizzatrice.

Sempre in relazione alla somministrazione, in sede di rinnovo, è stata prevista l’abolizione dei limiti quantitativi per il personale in apprendistato e per l’assunzione di lavoratori, svantaggiati o, comunque, in regime di ammortizzatori sociali.

Il Decreto lavoro è, quindi, intervenuto sui contratti a termine senza introdurre una riforma “di sistema”, lasciando cioè intatto il sistema delle c.d. causali.

La modifica delle fonti delle causali (fatta esclusioni per quella relativa alle “esigenze di sostituzione”) ha introdotto nuove possibilità per le aziende ma anche dubbi interpretativi.

 

Il ruolo della contrattazione collettiva per il Decreto Lavoro

Nel sistema delineato dal Decreto Lavoro, il ruolo da protagonista risulta assegnato alla contrattazione collettiva, soprattutto di secondo livello.

Le aziende e le organizzazioni sindacali sono chiamate a prevedere tutti quei casi in cui sarà possibile ricorrere a rapporti di lavoro della durata superiore ai 12 mesi, con un sistema che potrebbe costituire una importante opportunità per tutelare le specifiche necessità di aziende e lavoratori.

È, tuttavia, opportuno specificare che non a tutti i contratti collettivi aziendali è concessa tale facoltà, ma soltanto agli accordi stipulati dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o dalle loro rappresentanze presenti in azienda (RSA e RSU).

La norma, poi, specifica che, in assenza di contratti aziendali, specifiche ragioni possono essere previste dai CCNL nazionali, applicati in azienda e sottoscritti da qualsiasi OO.SS..

Il Decreto ha, quindi, previsto, in via subordinata, la possibilità per i CCNL nazionali di prevedere delle causali “di settore”, che individuino, delle esigenze generali per cui l’intero comparto necessiti di ricorrere a contratti a tempo determinato superiori a 12 mesi.

Mentre, tuttavia, la causale di cui alla lett. a), mediante il richiamo all’art.51, specifica la necessità che i contratti collettivi siano sottoscritti dalle OO.SS. maggiormente rappresentative, nulla è previsto in tal senso dalla lett. b).

Ci si è, quindi, chiesto se tutte le OO.SS. possano prevedere tali causali oppure se simile facoltà sia riservata soltanto alle parti sociali maggiormente rappresentative sul piano nazionale.

La risponda a tale domanda parrebbe la seconda sia per ragioni sistematiche, nel senso che la lettera b) deve essere interpretata nel medesimo senso della lettera precedente, sia perché l’utilizzo di un’espressione generica, non può, di per sé, aprire la strada ad interpretazioni che giustifichino l’utilizzo di contratti collettivi c.d. pirata o, comunque, sottoscritti da sindacati di comodo.

In alternativa, poi, anche il singolo lavoratore e la azienda possono prevedere una durata maggiore di 12 mesi, in presenza di esigenze tecniche, organizzative e produttive e, in ogni caso, soltanto fino al 30 aprile 2024.

A riguardo, la genericità della formulazione ha portato alcuni ad intravedere il ritorno del c.d. “causalone” precedente vigente, cioè la previsione di una clausola generale ed ampia applicabile in molte circostanze, che generò un elevato tasso di contenzioso in materia di rapporti a tempo determinato.

Alla luce di tutto ciò è evidente l’importanza del ruolo assegnato alla contrattazione collettiva, sia, e soprattutto, aziendale ma anche di livello nazionale.

Alle parti sociali, infatti, è rimessa, in sostanza l’intera disciplina dei contratti di lavoro a tempo determinato e dovranno presto sedersi al tavolo per discutere di come utilizzare questo strumento di flessibilità.

 

Decreto Lavoro e contratti a tempo determinato: opportunità ed incertezze della nuova disciplina

Come accennato, la possibilità per le aziende e per i sindacati di prevedere specifiche causali per proseguire nei rapporti a tempo determinato oltre i 12 mesi, costituisce un importante possibilità per creare flessibilità lavorativa, garantendo, comunque adeguate tutele ai lavoratori.

Per far ciò, tuttavia, sarà necessario un importante sforzo ermeneutico da parte delle parti sociali che dovranno individuare le specifiche “causali” cercando, per quanto possibile, di evitare formulazioni troppo vaghe e generiche.

Come accaduto in precedenza, infatti, l’adozione di causali sommarie e poco specifiche, porterebbe ad un aumento del contenzioso giudiziale su ogni singolo contratto, con conseguente distorsione dell’utilizzo dei rapporti a tempo determinato.

L’incertezza e il conseguente rischio di contenzioso, infatti, finirebbero con il paralizzare il ricorso a tale forma di contratto o, alternativamente, ad eliminare qualsiasi possibilità di crescita oltre i 12 mesi.

Non mancano, tuttavia, delle incertezze interpretative, relative soprattutto al rapporto tra contrattazione di secondo livello e contrattazione collettiva nazionale.

Stando, infatti, al dettato testuale della norma, i contratti aziendali potrebbero derogare anche in pejus rispetto a quelli nazionali (applicabili, appunto, solo in assenza di contratti collettivi aziendali).

In ogni caso, appare assolutamente necessario per le aziende instaurare un dialogo con le relative rappresentanze sindacali, in modo da poter utilizzare al meglio le potenzialità offerte dalla nuova riforma e, magari, iniziare percorsi di contrattazione che portino anche altri vantaggi, tanto alle aziende quanto ai lavoratori.

 

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04/07/2023 @RIPRODUZIONE RISERVATA – Decreto Lavoro e contratti a termine – GF LEGAL