
ACCORDI AZIENDALI: PER LA CASSAZIONE PUO’ BASTARE LA DISDETTA VERBALE
Nell’ambito del dibattito in merito ai Contratti collettivi aziendali, è di rilevante interesse la pronuncia della Corte di Cassazione, Sezione Lavoro (n. 2600 del 2 febbraio 2018) la quale ha ritenuto ammissibile la disdetta verbale di un simile contratto.
Prima di esaminare le ragioni che hanno portato i Giudici a tale conclusione, è utile dare brevemente conto dei fatti che hanno dato origine alla sentenza.
– Nello specifico i Giudici hanno esaminato un accordo collettivo di durata annuale che prevedeva il tacito rinnovo in assenza di disdetta da comunicarsi entro il 31 gennaio.
– In ragione del mancato pagamento di una parte di premio previsto nell’accordo, alcuni lavoratori hanno presentato ricorso per ottenere un decreto ingiuntivo per il pagamento degli importi previsti dall’accordo aziendale.
– La società nel difendersi, ha opposto che l’accordo aziendale sarebbe stato disdettato verbalmente nel corso di una riunione con le organizzazioni sindacali prima del 31 gennaio.
Da qui ha preso origine il principio giuridico posto alla base della pronuncia con cui la Suprema Corte ha rivisto la sentenza d’Appello.
Secondo la Corte, infatti, anche in base a precedenti sentenze (tra tutte la sentenza n. 3318/95), un accordo aziendale può essere valido anche se non stipulato per iscritto.
Per i Giudici, eventuali esigenze funzionalistiche, che potrebbero consigliare l’adozione di un testo scritto, non sono sufficienti per imporre una simile forma.
In questo contesto, a prevalere deve essere il principio di libertà delle forme che discende dall’art. 1325 n. 4 c.c. da cui si ricava la conclusione secondo cui, è più corretto parlare comunemente di forma libera, come regola e di forma vincolata come eccezione.
Di conseguenza, per la Suprema Corte, una volta stabilita la libertà della forma dell’accordo o del contratto collettivo di lavoro, la stessa libertà deve essere ravvisata anche riguardo agli atti che ne siano risolutori, come il mutuo dissenso o il recesso unilaterale (o disdetta) ex art. 1373, comma 2, c.c.
Ciò, per i Giudici deriva dal consolidato principio dottrinario e giurisprudenziale per cui il recesso è un negozio recettizio che, pur non richiedendo formule sacramentali, nondimeno resta assoggettato agli stessi vincoli formali eventualmente prescritti per il contratto costitutivo del rapporto al cui scioglimento sia finalizzato.
Laddove tali vincoli non siano previsti, si può, per i Giudici, espandere il principio della libertà della forma della manifestazione della volontà, sia per il contratto che per i negozi successivi come ad esempio il recesso unilaterale.
Sul piano pratico, invece, non sono poche le problematiche che la validità di una disdetta orale potrebbe implicare, soprattutto con riferimento al regime delle prove connesse a tale evento.
Certamente, da parte del Giudice, in sede processuale sarebbe illegittimo, negare lo strumento istruttorio, basandosi sul presupposto che simili atti non possano che avere una forma scritta.
Ciò, rischierebbe di determinare una violazione degli articoli 24 e 111 della Costituzione, in quanto verrebbe compromesso il diritto di difesa.
Allo stesso modo, tuttavia, potrebbero essere sollevate delle contestazioni, non facilmente superabili, circa la possibilità di ricorrere a prove testimoniali, visto che il ricorso ad esse, è sottoposto a limiti stringenti stabili negli articoli 2721, 2722 e 2723 c.c., quando in discussione vi siano contratti, eventuali patti aggiunti e contrari ad essi o comunque patti posteriori alla formazione di eventuali documenti.
Trattandosi di limiti e vincoli molto restrittivi, potrebbe risultare difficile sostenere, anche se non si può escludere in modo assoluto, che essi possano essere comunque superati ricorrendo da un lato, all’art. 421 c. 2 c.p.c. che consente al Giudice nel processo del lavoro di disporre d’ufficio l’ammissione di ogni mezzo di prova anche fuori dai limiti stabiliti dal Codice Civile, e dall’altro, all’argomentazione secondo cui i limiti relativi agli articoli poc’anzi richiamati, sono riferibili solo ai contratti e non anche agli atti unilaterali.
La sentenza, oggetto del presente commento, tuttavia, potrebbe avere, nell’ambito delle relazioni industriali e sindacali all’interno delle aziende, una portata dirompente, ma è comunque necessario e prudente attendere l’eventuale consolidarsi di un tale orientamento, soprattutto rispetto alle problematiche giuridiche connesse all’utilizzo o meno dello strumento istruttorio così come da ultimo analizzato, prima di poter dare per acquisito un simile principio.
Se dunque la sentenza in commento ribadisce un principio fondamentale, non può essere ignorato quello che è invece l’aspetto esattamente speculare, ossia l’applicazione esplicita o tacita di un contratto collettivo a cui un datore di lavoro non abbia formalmente aderito.
Condivisa è infatti la possibilità di rinviare espressamente a un CCNL, per esempio nella lettera di assunzione, così come la facoltà di applicare in maniera autonoma un CCNL non sottoscritto, a patto che tale applicazione – per quanto si ravvisino anche aperture di segno opposto – sia però integrale e riferita a tutte le clausole contrattuali (Cass. 12/4/00, n. 4705).
Il recepimento implicito, può avere dunque luogo attraverso un comportamento concludente che possa essere desunto da una costante e prolungata applicazione di norme collettive (Cassazione Civile, sezione lavoro, 08.05.2009, n. 10632)
04.09.18 – ACCORDI AZIENDALI: PER LA CASSAZIONE PUO’ BASTARE LA DISDETTA VERBALE – © riproduzione riservata dello Studio GF LEGAL STP