IL PATTO DI NON CONCORRENZA: DEFINIZIONE, CORRISPETTIVO, DURATA E TERRITORIO | L’ENOLOGO rivista ufficiale di Assoenologi
il patto di non concorrenza: definizione, corrispettivo, durata e territorio | l’enologo RIVISTA ufficiale di assoenologi
L’imprenditore, per tutelare l’attività della propria azienda, può stipulare volontariamente e d’accordo con il lavoratore dipendente un patto di non concorrenza dopo la cessazione del rapporto di lavoro
Il c.d. patto di non concorrenza è un patto a prestazioni corrispettive e a titolo oneroso, che pur non essendo obbligatorio, serve a datore di lavoro e lavoratore a regolamentare volontariamente e d’accordo tra loro, l’attività del prestatore dopo la cessazione del rapporto di lavoro.
Nell’ambito enologico, il patto di non concorrenza, è un tema di particolare interesse viste le peculiarità che spesso caratterizzano i profili professionali del settore, come ad esempio l’enologo, implicando la necessità di salvaguardare l’imprenditore da qualsiasi migrazione verso imprese concorrenti.
IN QUESTO ARTICOLO:
Un tema giuslavoristico di sicura attualità anche nel settore Enologico è quello relativo al Patto di non concorrenza.
Si tratta infatti di un patto a prestazioni corrispettive e a titolo oneroso, che pur non essendo obbligatorio, serve a datore di lavoro e lavoratore a regolamentare volontariamente e d’accordo tra loro, l’attività del prestatore dopo la cessazione del rapporto di lavoro.
La rilevanza di tale patto nell’ambito enologico è desumibile soprattutto alla luce dalle peculiarità nonché dalle tecnicalità che spesso caratterizzano i profili professionali del settore, implicando la necessità di salvaguardare l’imprenditore da qualsiasi migrazione verso imprese concorrenti del patrimonio immateriale dell’azienda, nei suoi elementi interni (organizzazione tecnica e amministrativa, metodi ed i processi di lavoro) ed esterni (avviamento e clientela), trattandosi di elementi che riguardano la presenza sul mercato e il successo rispetto a potenziali concorrenti.
COS’È IL PATTO DI NON CONCORRENZA
Esaminiamo tutti i requisiti del patto di non concorrenza.
L’art. 2125 c.c., disciplina la fattispecie, indicando i requisiti cui deve attenersi il patto di non concorrenza:
- a) la forma;
- b) la durata;
- c) l’oggetto;
- d) il vincolo geografico;
- e) il corrispettivo
La forma richiesta è quella scritta a pena di nullità.
Il patto è valido anche se contenuto nella lettera di assunzione e può essere concluso: al momento dell’assunzione, durante lo svolgimento del rapporto, alla cessazione del contratto.
La durata del vincolo non può essere superiore a 5 anni per il personale con qualifica di dirigente mentre negli altri casi è di 3 anni. E’ opportuno ricordare che, laddove fosse pattuita una durata maggiore, essa si riduce nella misura indicata mentre, laddove la durata non fosse indicata, l’accordo resta comunque valido ma nei limiti di durata legale.
L’oggetto, con il patto, si regolamenta per il futuro qualsiasi attività che un dipendente, con qualsiasi inquadramento e/o mansione, potrebbe svolgere in concorrenza con il datore di lavoro, in relazione a mansioni svolte fino a quel momento o ad altre espressamente individuate e indicate, in proprio o presso un’altra azienda, con rapporto di consulenza collaborazione autonoma ovvero subordinazione.
Sul punto, deve altresì essere precisato che, qualora l’oggetto abbia un’ampiezza tale da comprimere l’esplicazione della concreta professionalità del lavoratore in limiti che ne compromettano ogni potenzialità reddituale, il patto è nullo.
Il vincolo geografico, l’assenza di una previsione di una zona in cui è vietato lo svolgimento di attività in concorrenza, così come una previsione non specifica ovvero troppo estesa comportano la nullità del patto.
Il corrispettivo, la mancata previsione del corrispettivo o il fatto che esso risulti palesemente inadeguato, iniquo o sproporzionato determinano la nullità del patto.
Il corrispettivo è reso a fronte di un’obbligazione di non fare e non ha natura risarcitoria potendo essere erogato durante il rapporto, all’atto della sua risoluzione ovvero anche in seguito, purché risulti congruo rispetto alle limitazioni imposte al lavoratore e all’estensione e durata del vincolo.
Sul punto, va anche tenuto presente come sia nulla la pattuizione di un corrispettivo in costanza di rapporto poiché, la non prevedibilità della sua durata rende meramente eventuale e aleatorio il quantum del compenso spettante al lavoratore a fronte della sua parziale rinuncia al diritto, costituzionalmente garantito, al lavoro.
UNA RECENTE SENTENZA SULLA NULLITA’ DEL PATTO DI NON CONCORRENZA
Come affermato dal Tribunale di Modena nella sentenza del 23 maggio 2019, nel caso in cui il compenso venga pattuito in una percentuale della retribuzione, ovvero in una somma fissa mensile, non vi è alcuna possibilità di conoscere in anticipo la misura esatta del corrispettivo che si trova ad essere condizionato da un elemento variabile, costituito dalla durata del rapporto.
Con la stessa sentenza viene inoltre rafforzata la tesi secondo cui in un caso simile:
E’ quindi nullo il patto di non concorrenza per indeterminabilità del corrispettivo, proprio perché l’importo finale viene legato alla durata del rapporto di lavoro, una variabile che rende il corrispettivo indeterminabile.
Per il Giudice, infatti, il corrispettivo del patto di non concorrenza deve essere determinato ovvero determinabile all’atto del consenso espresso dal lavoratore considerando che egli, accettando di sottoscriverlo, deve essere consapevole del prezzo a fronte del quale rinunzia, seppure entro certi limiti, al proprio diritto al lavoro, costituzionalmente tutelato.
Non solo, ma quale conseguenza di ciò, il lavoratore viene altresì condannato a pagare quanto percepito, alla luce del fatto che risulta applicabile il disposto dell’art. 2033 c.c. in tema di indebito oggettivo, riguardante anche gli obblighi restitutori derivanti dalla declaratoria di nullità del contratto (Cass. 2000/12038; 2005/20651).
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