ESTRATTO DELL’ORDINANZA N. 19907 DEL 2009 EMESSA DAL GIUDICE ISTRUTTORE GIUSEPPE DI SALVO DELLA III SEZIONE CIVILE DEL TRIBUNALE DI ROMA

In merito al tema relativo all’utilizzo dei collegi dei Probiviri nell’ambito associativo ho il piacere di condividere con te alcune riflessioni che sottopongo alla tua attenzione e che spero possano contribuire alla nostra Associazione. Prima di tutto, per definire l’ambito sul quale stiamo riflettendo è utile ricordare che i collegi dei probiviri furono creati sul modello francese e belga.
Già una commissione d’inchiesta, nominata il 3 febbraio 1878 per ricercare le cause dei frequenti scioperi, presentava una relazione auspicante la costituzione dei collegi di probiviri. Soltanto con la legge 15 gennaio 1893 n. 293 il nuovo organo fu istituito.
Questa legge prevedeva la nomina, da farsi con decreto reale, su proposta dei ministri di Grazia e giustizia e del Commercio e dell’agricoltura, di collegi di probiviri per la conciliazione delle controversie che insorgessero fra imprenditori e operai o anche fra operai, nei luoghi ove esistevano fabbriche o imprese industriali, per ogni industria o gruppo d’industrie affini. Questi collegi dovevano essere paritetici, e comprendere, oltre a un presidente nominato fra persone estranee alle aziende interessate, e scelto tra funzionarî dell’ordine giudiziario o tra persone idonee alla carica di conciliatore, un numero uguale d’industriali e di operai eletti dai componenti delle due categorie, in numero non inferiore a dieci né superiore a venti.
Ragionando ora in termini attuali, è pur sempre con il presente che dobbiamo confrontarci, penso sia interessante riflettere sull’ordinanza del Tribunale di Roma con la quale un gruppo di persone iscritte a un sindacato chiedevano con un ricorso ex articolo 700 c.p.c. la dichiarazione di illegittimità delle delibere e delle attività svolte da un nuovo e presunto se non addirittura inesistente Consiglio Generale di comparto sindacale organizzato su base cittadina e regionale. Le richieste dei ricorrenti erano volte ad ottenere la sospensione, ai sensi dell’art. 23 comma 3 c.c. degli effetti delle delibere adottate in violazione degli articoli statutari della sigla sindacale ufficiale di comparto. Inoltre veniva richiesto il commissariamento dell’organo di Segreteria Generale del comparto. Nella vicenda viene in rilievo come i due comparti, quello locale e quello regionale, la cui esistenza veniva appunto contestata, avessero invocato per la risoluzione della disputa proprio l’articolo statutario del comparto principale che rimette al collegio dei probiviri la composizione delle liti tra gli iscritti e l’organizzazione sindacale e le decisioni sui ricorsi avverso le violazioni delle norme statutarie e regolamentari nonché sulle vertenze elettorali.
Su questo punto specifico l’ordinanza sottolinea come la clausola che assegna al collegio dei probiviri, organo collegiale endoassociativo, il compito di dirimere le controversie insorte tra gli iscritti e l’organizzazione è considerata affetta da nullità in quanto non assicurerebbe la partecipazione necessaria del socio in lite alla nomina degli arbitri. Su questo punto specifico è possibile confrontare quanto deciso dalla Corte di Cassazione il 7 marzo 2001 con la sentenza n. 3316 e il 21 luglio 2000 con la sentenza n. 9565. Nella prima delle due sentenze, la Cassazione aveva ribadito che la clausola compromissoria contenuta nello statuto di una cooperativa, che deferisca ogni controversia tra quest’ultima e i soci alla cognizione di un collegio di probiviri, senza prevedere che per la relativa nomina sia necessaria l’unanimità dei consensi, è affetta da nullità salvo il caso di adesione anche successiva del socio interessato. Nella seconda la Suprema Corte affermava il principio secondo cui è nulla la clausola dello statuto della società cooperativa che devolve le controversie tra società e soci all’arbitrato (anche irrituale) di un collegio di probiviri nominato dall’assemblea sociale, salvo che, per espressa previsione statutaria in tal senso, i probiviri siano stati designati da tutti i soci all’unanimità. Secondo il ragionamento condotto dai giudici della Corte e del resto confermato dall’ordinanza sopra citata è nulla la clausola compromissoria di uno statuto di società cooperativa che devolva la cognizione delle controversie fra la stessa e i soci ad un apposito collegio di probiviri, senza prevedere la designazione di costoro anche da parte del socio in lite. Ciò discende dal principio della par condicio delle parti nella nomina degli arbitri (cfr. Cass. n. 2304/95, cit.). I probiviri sono di regola nominati dall’assemblea, e ciò è già sufficiente a rendere problematica per loro l’assunzione della funzione arbitrale, in una lite di cui la società sia parte, perché se anche non si volesse mettere in discussione la terzietà funzionale dei probiviri medesimi, non sarebbe comunque terzo l’organo che li ha nominati: l’assemblea è infatti, incontestabilmente, un organo della società, e la società è una delle parti in lite.
In conclusione mi auguro che queste mie brevi considerazioni possano essere considerate utili al dibattito interno della nostra associazione su uno degli aspetti più importanti di ogni realtà associativa.

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