IL CASO BARBULESCU VS ROMANIA I CONTROLLI DELLA MAIL IN AZIENDA VIOLANO LA PRIVACY …… O NO??

Il caso Bogdan Barbulescu riguarda un lavoratore di nazionalità rumena che dal 1 agosto 2004 fino al 6 agosto 2007 ha prestato servizio in una società rumena come ingegnere responsabile delle vendite.
Per svolgere il suo lavoro, utilizzava un account Yahoo Messenger, messo a disposizione dal titolare, per rispondere alle domande poste dai clienti.
Dal 5 luglio al 13 luglio del 2007, l’azienda ha effettuato dei controlli sulle conversazioni ed ha riscontrato che l’ingegner Barbulescu usava quel profilo anche per comunicare, per questioni personali, con il fratello e la propria fidanzata.

Dopo tale contestazione, correlata da una copia cartacea delle conversazioni, il dipendente è stato licenziato.
Dopo di che, l’ingegner Barbulescu, ha avviato una controversia giudiziaria conclusasi con la sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 5 settembre 2017.
Il Signor Barbulescu ha contestato la decisione del suo datore di lavoro, lamentando che la decisione di quest’ultimo di voler porre fine al suo contratto era nulla, poiché il datore di lavoro aveva violato il suo diritto alla corrispondenza accedendo alle sue comunicazioni in violazione della Costituzione e del Codice Penale.
La sua tesi, è stata respinta prima dai Giudici rumeni e poi dalla CEDU, nel gennaio del 2016.
I Giudici nazionali hanno respinto le motivazioni del ricorrente, ritenendo legittimo che un datore di lavoro possa verificare l’operato dei propri dipendenti durante l’orario di lavoro e attraverso i mezzi messi a disposizione dall’azienda.
Davanti alla CEDU, invece, il ricorrente ha lamentato in particolare la lesione dell’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare, della casa della famiglia e della corrispondenza) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Nella sentenza del 12 gennaio 2016, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, con sei voti a uno, ha deciso affermando che non vi era stata alcuna violazione dell’articolo 8 della Convenzione, constatando che i Giudici rumeni avevano raggiunto un equo equilibrio tra il diritto del Signor Barbulescu a vedere rispettata la sua vita privata e la sua corrispondenza ai sensi dell’articolo 8 e gli interessi del datore di lavoro.
La Corte ha rilevato, in particolare come se da un lato era vero che la vita privata e la corrispondenza del Sig. Barbulescu erano state limitate, tuttavia dall’altro lato, il controllo esercitato dal datore di lavoro sulle comunicazioni era stato comunque ragionevole nell’ambito di una procedura disciplinare.
Il 6 giugno 2016, il caso è stato rinviato alla Gran Camera della Corte, su richiesta del Sig. Barbulescu.
In tale occasione, il Governo Francese e la Confederazione Sindacale Europea (ETUC) sono stati tra l’altro ammessi ad intervenire nel procedimento come terzi parti.
A distanza di oltre un anno, il 5 settembre 2017 però, la stessa Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha modificato la prima decisione affermando che la società per la quale lavorava il ricorrente avrebbe dovuto comunicare anticipatamente l’inizio del controllo delle comunicazioni onde evitare spiacevoli violazioni della privacy.
Nella decisione della Gran Camera, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha accertato la violazione dell’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare, della casa e della corrispondenza) della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
La CEDU, infatti conclude affermando che le autorità nazionali non hanno adeguatamente protetto il Signor Barbulescu rispetto al suo diritto al rispetto della sua vita personale e della sua corrispondenza.
In particolare, a parere maggioritario dei Giudici della CEDU, i Giudici nazionali non sono stati in grado di accertare se il Signor Barbulescu avesse ricevuto preventivamente l’avviso da parte del suo datore di lavoro della possibilità che le sue comunicazioni potessero essere monitorate;
Così come, non sono stati in grado di accertare se egli fosse stato informato della natura e/o della portata della monitoraggio, e/o del grado di intrusione nella sua vita personale e nella sua corrispondenza.
Inoltre, i Giudici nazionali non hanno accertato, la sussistenza di ragioni specifiche a giustificazione dell’introduzione di misure di controllo e/o se potevano esistere misure di controllo meno invasive nella vita personale e della corrispondenza del Signor Barbulescu; e, da ultimo, se l’accesso alle sue comunicazioni poteva avvenire senza che egli ne fosse messo al corrente.
Da ultimo e in conclusione, è interessante sottolineare come tale decisione risulti conforme al dettato legislativo italiano anche a seguito delle modifiche intervenute nel 2015.
Tali modifiche, infatti hanno superato il netto divieto di uso degli impianti audiovisivi e di altre apparecchiature che consentissero il controllo a distanza dell’attività dei lavoratori.
Ora questa possibilità è in ogni caso subordinata all’esistenza di esigenze organizzative e produttive, alla sicurezza del lavoro e alla tutela del patrimonio aziendale.
Ferma restando la necessità di queste condizioni, questi apparati possono essere impiegati previo accordo collettivo stipulato con le rappresentanze sindacali aziendali o con l’autorizzazione dell’ispettorato territoriale del lavoro.
Esiste tuttavia un’eccezione: gli ultimi due commi dell’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori precisano che i limiti sopra indicati non si applicano agli strumenti usati dal lavoratore per rendere la sua prestazione e a quelli per la sola registrazione delle presenze (diversi quindi dal badge con chip Rfid). Questi congegni, quindi, possono essere utilizzati liberamente dal datore di lavoro.
Le informazioni raccolte con i mezzi per adempiere alla prestazione, o con i dispositivi di controllo autorizzati, sono utilizzabili a tutti i fini legati al rapporto di lavoro, inclusi quelli disciplinari, ma solo a condizione però che sia data al lavoratore adeguata informazione sulle modalità d’uso degli strumenti e di esecuzione dei controlli e siano rispettate le norme sulla tutela dei dati personali.
Diversamente, eventuali comportamenti divergenti da parte del datore di lavoro non solo si porrebbero in violazione della normativa nazionale ma come poc’anzi visto anche di quella Europea con particolare riferimento alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
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