IL LICENZIAMENTO DEL DIRIGENTE NELLA NORMATIVA EMERGENZIALE
IL LICENZIAMENTO DEL DIRIGENTE NELLA NORMATIVA EMERGENZIALE
All’inizio della crisi pandemica, in un periodo di grande difficoltà economica e finanziaria, il Governo ha varato una serie di misure volte a preservare il livello occupazionale.
Tra gli interventi principali, il c.d Decreto “Cura Italia” (D. L. 18/2020) aveva previsto all’art. 46 il divieto di licenziamento dei lavoratori per giustificato motivo oggettivo.
Il cosiddetto blocco dei licenziamenti è stato poi prorogato fino al 2021 grazie ad altri provvedimenti.
Tuttavia, l’art. 46 del Decreto “Cura Italia” non specifica quali siano le categorie di lavoratori interessate ed, in particolare, se il blocco dei licenziamenti si rivolga anche ai dirigenti, che, notoriamente, sono soggetti ad una specifica disciplina.
Sin dalla fase iniziale dell’emergenza sanitaria, la Giurisprudenza e la Dottrina sono, da subito, intervenute ad interpretare quanto previsto dal Legislatore.
In questo articolo esamineremo tre orientamenti Giurisprudenziali, che hanno analizzato il contenuto della normativa emergenziale e dai quali, tuttavia, sono emerse opinioni contrastanti, nonché la posizione della Dottrina.
IL LICENZIAMENTO DEL DIRIGENTE DURANTE IL PERIODO COVID – LE POSIZIONI DELLA GIURISPRUDENZA
In merito all’estendibilità del blocco dei licenziamenti ai dirigenti, il Tribunale di Roma ha avuto modo di esprimersi in due diverse pronunce presentando, però, posizioni discordanti.
Nell’ordinanza del 26 febbraio 2021, infatti, il Tribunale di Roma ha ordinato la reintegrazione di un dirigente licenziato in vigenza del blocco dei licenziamenti.
Secondo il Giudice, la norma che stabilisce il divieto dei licenziamenti non solo evita la soppressione immediata di posti di lavoro come conseguenza della crisi pandemica, ma è una norma di ordine pubblico che, in quanto tale, si rivolge all’intera collettività.
Pertanto, il citato art. 46 del D.L. 18/2020 non delimiterebbe l’ambito di applicazione del divieto; anzi, si applicherebbe nei confronti di tutti i lavoratori.
Tale impostazione, tuttavia, è stata ribaltata dallo stesso Tribunale che, nella sentenza n. 3605 del 2021, ha ritenuto che l’art. 46 non potesse trovare applicazione nei confronti della categoria dirigenziale.
La sentenza in oggetto, testualmente, riporta che “Nell’ipotesi in cui venisse esteso il blocco dei licenziamenti anche ai dirigenti, il datore di lavoro si ritroverebbe nella condizione di non poter reperire una soluzione sostitutiva (come per tutti gli altri dipendenti non dirigenti) che permetta loro di garantire reddito e tutela occupazionale senza costi aggiuntivi.
Ciò determinerebbe che della categoria dei dirigenti dovrebbe necessariamente farsene carico il datore di lavoro, pur in presenza di motivi tali da configurare un’ipotesi di giustificatezza del recesso.
E ciò potrebbe determinare un profilo di incoerenza costituzionale tra estensione del blocco ai dirigenti e principio di libertà economica.” L’interpretazione sarebbe fondata sul fatto che, non essendo consentito ai dirigenti di beneficiare degli ammortizzatori sociali, includerli nel blocco dei licenziamenti graverebbe sugli oneri a carico del datore di lavoro.
Infatti, in tal caso, il datore dovrebbe sostenere ulteriori costi che, per le altre categorie occupazionali, nel periodo in cui il licenziamento è impedito, sono sostenuti dallo Stato.
Anche il Tribunale di Milano, con la sentenza n. 2629 del 2021, ha ritenuto applicabile anche ai dirigenti il divieto di licenziamento; analizziamone le motivazioni.
In tale pronuncia, il Giudice ha ritenuto che l’intento del legislatore fosse quello di “vietare tutti i licenziamenti economici” nei confronti di qualsiasi lavoratore, non solo nei confronti di quadri, impiegati e operai.
Infatti, il Tribunale di Milano, fondandosi sul dato letterale del D.L. n. 18 del 2020, ha ricordato che il richiamo all’art. 3 della Legge n. 604/1966, da parte del decreto Cura Italia, non avrebbe avuto il fine di “circoscrivere il perimetro soggettivo della platea dei lavoratori a cui la norma si riferisce”.
Dunque, secondo tale tesi, sarebbe vietato ogni licenziamento per giustificato motivo oggettivo, indipendentemente dalla qualifica rivestita dal lavoratore.
In aggiunta, il Giudice meneghino ha condiviso l’interpretazione contenuta nell’ordinanza sopracitata del 26 febbraio 2021 del Tribunale di Roma e ha richiamato quanto espresso dalla Cassazione negli anni ‘70, dando atto della possibilità di applicazione ai dirigenti di discipline difformi, purché “si tratti di situazioni idonee a giustificare un regime eccezionale e comunque non vengano superati i limiti di ragionevolezza”.
IL LICENZIAMENTO DEL DIRIGENTE NEL PERIODO DI EMERGENZA COVID IN ITALIA – LA POSIZIONE DELLA DOTTRINA
Il quadro presentato dalla Giurisprudenza ha diviso anche la Dottrina.
Maggiori sono state le voci contrarie all’estensione del blocco dei licenziamenti per i dirigenti, tra le quali quella del Presidente della Sezione Lavoro della Corte di Cassazione, il quale, ha affermato che l’estensione “sembra superare la lettera della legge e quindi non appare giustificabile sulla base di una interpretazione costituzionalmente conforme che presuppone si scelga una soluzione comunque consentita dalla formulazione normativa”.
In buona sostanza, il Presidente della Sezione Lavoro, esprimendosi in merito all’orientamento dell’ordinanza del 26 febbraio 2021, ha sostenuto che la legge, infatti, non dovrebbe essere oggetto di un’interpretazione che vada a superare la lettera della norma stessa, sebbene definita costituzionalmente conforme.
Con riferimento, invece, alla sentenza n. 3605 del 2021, la Dottrina ha ritenuto che l’esclusione dei dirigenti dal blocco dei licenziamenti fosse oltremodo penalizzante per tale categoria, se solo si considera che, durante la fase della pandemia, già i medesimi sono stati esclusi dagli ammortizzatori sociali, anche in deroga.
Di conseguenza, un’interpretazione restrittiva della normativa emergenziale finirebbe per penalizzare eccessivamente i dirigenti.
Pertanto, gran parte della Dottrina ritiene che tale quadro normativo evidenzi una disparità di trattamento che ha inciso sulla categoria e che richiederebbe un ulteriore approfondimento.
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