ECCEZIONI ALLA RESPONSABILITA’ SOLIDALE: UN REFERENDUM CHE RIPORTA LA LEGGE AL 2012
L’Obiettivo dei promotori del secondo quesito referendario è quello di fare in modo che, quando un’impresa si serve di un’altra, che poi magari ne utilizza ulteriori in subappalto, la prima, e tutte le intermedie, siano responsabili anche nei confronti dei lavoratori di tutte le aziende a valle coinvolte nella filiera dell’appalto.
Ciò, relativamente al rispetto dei diritti dei lavoratori impiegati, concernenti i trattamenti retributivi, ed i relativi aspetti contributivi ed assicurativi.
Più nel dettaglio, con il quesito relativo all’art. 29 del Decreto Legislativo n. 276 del 10 settembre 2003, i promotori chiedono di abrogare due periodi del comma 2 di tale decreto così come in seguito modificato ulteriormente nel 2012.
In primo luogo si tratta della possibilità oggi prevista di derogare alla responsabilità solidale nel caso in cui i contratti collettivi nazionali di lavoro prevedano procedure diverse per verificare la regolarità complessiva degli appalti.
In secondo luogo si invoca l’abrogazione del c.d. beneficio della preventiva escussione, ovvero, della possibilità offerta al committente, di eccepire nella prima difesa in giudizio che, solo a seguito dell’accertamento dell’obbligazione solidale tra i vari soggetti coinvolti, si proceda con l’azione esecutiva prioritariamente nei confronti del subappaltatore e degli eventuali subappaltatori intermedi, e solo successivamente nei propri confronti.
Tale proposta potrebbe essere, tuttavia, disinnescata da una recentissima proposta di legge, a firma Damiano e Gnecchi, recante “Modifiche al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, in materia di responsabilità solidale in caso di appalto”.
Il disegno di legge persegue l’obiettivo di riportare, sostanzialmente, le lancette dell’orologio alla formulazione originaria della norma, ovvero al 2003.
Così facendo, il comma 2 dell’art. 29, d.lgs. n. 276/2003 verrebbe sostituito dal seguente:
“In caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell’inadempimento.I contratti collettivi nazionali, sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore, possono individuare clausole di maggior favore per i lavoratori rispetto a quanto stabilito dal periodo precedente. Il committente che ha eseguito il pagamento è tenuto, ove previsto, ad assolvere gli obblighi del sostituto d’imposta ai sensi delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e può esercitare l’azione di regresso nei confronti del coobbligato secondo le regole generali. La condanna definitiva per violazione delle disposizioni di cui al presente comma costituisce causa di esclusione dalle gare di appalto indette dalle amministrazioni pubbliche”.
Se, effettivamente, questa proposta diventasse legge, verrebbe rafforzata la responsabilità solidale negli appalti e il committente, qualora convenuto in giudizio dai dipendenti dell’appaltatore, non avrebbe più la possibilità di eccepire la preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore, così realizzando, per legge, ciò che sarà possibile ottenere per via referendaria solo a seguito del risultato positivo del medesimo.
In ogni caso, non è affatto vera la ricostruzione della situazione attuale che è stata fatta trapelare, in alcuni casi, da parte di chi sostiene la necessità di una modifica della norma.
Oggi, infatti, esiste già la responsabilità solidale del committente, così come poc’anzi delineata.
Il referendum mira esclusivamente a cancellare il c.d. beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore per il quale, oggi, il committente, è sì responsabile solidalmente con l’appaltatore, ma può chiedere che venga prima escusso il patrimonio dell’appaltatore e, se il tentativo non ha successo, ne risponde lui.
Non è, dunque, corretto affermare che oggi il lavoratore non abbia alcuna forma di tutela.
La legge impone, unicamente, una gradualità ed una sequenza cronologica da rispettare nel recupero del credito da lavoro ma questo non esonera di certo il committente dalla sua responsabilità in materia.
Il quesito mira anche ad abolire la possibilità, offerta dalla normativa attuale alla contrattazione collettiva di “individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti”.
Verrebbe meno, dunque, qualsiasi possibilità di intervento in materia da parte delle associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore.
Sul punto non si può sottacere un pizzico di stupore per una proposta di fonte sindacale che mira ad autoescludere il sindacato stesso dalla possibilità di arrivare a determinare accordi e procedure che potrebbero anche migliorare la condizione dell’appalto e dei lavoratori, a fronte di garanzie sul corretto funzionamento della filiera degli appalti.
Da ultimo, e in conclusione, va considerato che la deroga alla solidarietà ad opera della contrattazione collettiva non è stata quasi per nulla attuata, probabilmente a causa della diffidenza proveniente dalla componente sindacale, nonostante, la Riforma Fornero, intervenendo direttamente sull’art. 29, avesse conferito alla contrattazione collettiva il potere di derogare al regime solidaristico in analisi.
Sul punto, il Ministero del Lavoro (lettera circolare n. 7258/2013), aveva espresso una certa riserva a che la fonte contrattuale potesse derogare al regime previdenziale ed assistenziale contenuto nell’art. 29.
In ogni caso, l’art. 8, comma 2, lett. a), L n. 148/2011, prevede la possibilità di deroga ad opera della contrattazione collettiva di prossimità della Legge e del CCNL.
In altre parole, la possibilità di intervento delle parti in tema di regime solidaristico, a prescindere dall’esito referendario, resterebbe pur sempre percorribile attraverso il citato art. 8, che, come noto, nelle materie “delegate” dal legislatore, conferisce alla contrattazione collettiva di prossimità la facoltà di derogare alla Legge e al CCNL con il solo limite dei principi costituzionali e di diritto comunitario.
© riproduzione riservata dello Studio GF LEGAL STP
Ciò, relativamente al rispetto dei diritti dei lavoratori impiegati, concernenti i trattamenti retributivi, ed i relativi aspetti contributivi ed assicurativi.
Più nel dettaglio, con il quesito relativo all’art. 29 del Decreto Legislativo n. 276 del 10 settembre 2003, i promotori chiedono di abrogare due periodi del comma 2 di tale decreto così come in seguito modificato ulteriormente nel 2012.
In primo luogo si tratta della possibilità oggi prevista di derogare alla responsabilità solidale nel caso in cui i contratti collettivi nazionali di lavoro prevedano procedure diverse per verificare la regolarità complessiva degli appalti.
In secondo luogo si invoca l’abrogazione del c.d. beneficio della preventiva escussione, ovvero, della possibilità offerta al committente, di eccepire nella prima difesa in giudizio che, solo a seguito dell’accertamento dell’obbligazione solidale tra i vari soggetti coinvolti, si proceda con l’azione esecutiva prioritariamente nei confronti del subappaltatore e degli eventuali subappaltatori intermedi, e solo successivamente nei propri confronti.
Tale proposta potrebbe essere, tuttavia, disinnescata da una recentissima proposta di legge, a firma Damiano e Gnecchi, recante “Modifiche al decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, in materia di responsabilità solidale in caso di appalto”.
Il disegno di legge persegue l’obiettivo di riportare, sostanzialmente, le lancette dell’orologio alla formulazione originaria della norma, ovvero al 2003.
Così facendo, il comma 2 dell’art. 29, d.lgs. n. 276/2003 verrebbe sostituito dal seguente:
“In caso di appalto di opere o di servizi, il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali subappaltatori entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi, comprese le quote di trattamento di fine rapporto, nonché i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti in relazione al periodo di esecuzione del contratto di appalto, restando escluso qualsiasi obbligo per le sanzioni civili di cui risponde solo il responsabile dell’inadempimento.I contratti collettivi nazionali, sottoscritti da associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore, possono individuare clausole di maggior favore per i lavoratori rispetto a quanto stabilito dal periodo precedente. Il committente che ha eseguito il pagamento è tenuto, ove previsto, ad assolvere gli obblighi del sostituto d’imposta ai sensi delle disposizioni del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e può esercitare l’azione di regresso nei confronti del coobbligato secondo le regole generali. La condanna definitiva per violazione delle disposizioni di cui al presente comma costituisce causa di esclusione dalle gare di appalto indette dalle amministrazioni pubbliche”.
Se, effettivamente, questa proposta diventasse legge, verrebbe rafforzata la responsabilità solidale negli appalti e il committente, qualora convenuto in giudizio dai dipendenti dell’appaltatore, non avrebbe più la possibilità di eccepire la preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore, così realizzando, per legge, ciò che sarà possibile ottenere per via referendaria solo a seguito del risultato positivo del medesimo.
In ogni caso, non è affatto vera la ricostruzione della situazione attuale che è stata fatta trapelare, in alcuni casi, da parte di chi sostiene la necessità di una modifica della norma.
Oggi, infatti, esiste già la responsabilità solidale del committente, così come poc’anzi delineata.
Il referendum mira esclusivamente a cancellare il c.d. beneficio della preventiva escussione del patrimonio dell’appaltatore per il quale, oggi, il committente, è sì responsabile solidalmente con l’appaltatore, ma può chiedere che venga prima escusso il patrimonio dell’appaltatore e, se il tentativo non ha successo, ne risponde lui.
Non è, dunque, corretto affermare che oggi il lavoratore non abbia alcuna forma di tutela.
La legge impone, unicamente, una gradualità ed una sequenza cronologica da rispettare nel recupero del credito da lavoro ma questo non esonera di certo il committente dalla sua responsabilità in materia.
Il quesito mira anche ad abolire la possibilità, offerta dalla normativa attuale alla contrattazione collettiva di “individuare metodi e procedure di controllo e di verifica della regolarità complessiva degli appalti”.
Verrebbe meno, dunque, qualsiasi possibilità di intervento in materia da parte delle associazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative del settore.
Sul punto non si può sottacere un pizzico di stupore per una proposta di fonte sindacale che mira ad autoescludere il sindacato stesso dalla possibilità di arrivare a determinare accordi e procedure che potrebbero anche migliorare la condizione dell’appalto e dei lavoratori, a fronte di garanzie sul corretto funzionamento della filiera degli appalti.
Da ultimo, e in conclusione, va considerato che la deroga alla solidarietà ad opera della contrattazione collettiva non è stata quasi per nulla attuata, probabilmente a causa della diffidenza proveniente dalla componente sindacale, nonostante, la Riforma Fornero, intervenendo direttamente sull’art. 29, avesse conferito alla contrattazione collettiva il potere di derogare al regime solidaristico in analisi.
Sul punto, il Ministero del Lavoro (lettera circolare n. 7258/2013), aveva espresso una certa riserva a che la fonte contrattuale potesse derogare al regime previdenziale ed assistenziale contenuto nell’art. 29.
In ogni caso, l’art. 8, comma 2, lett. a), L n. 148/2011, prevede la possibilità di deroga ad opera della contrattazione collettiva di prossimità della Legge e del CCNL.
In altre parole, la possibilità di intervento delle parti in tema di regime solidaristico, a prescindere dall’esito referendario, resterebbe pur sempre percorribile attraverso il citato art. 8, che, come noto, nelle materie “delegate” dal legislatore, conferisce alla contrattazione collettiva di prossimità la facoltà di derogare alla Legge e al CCNL con il solo limite dei principi costituzionali e di diritto comunitario.
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